Se una spia cinese che finanzia deputati Labour sembra essere un problema minore delle feste di Downing Street

Se una spia cinese che finanzia deputati Labour sembra essere un problema minore delle feste di Downing Street

Mentre il Party-gate, soprattutto tra i media, travolge il Premier britannico Boris Johnson, nel silenzio quasi totale il servizio di controspionaggio dell’MI5 ha scoperto una spia cinese – Christine Lee – che avrebbe stabilito legami con i parlamentari laburisti tramite “donazioni finanziarie” al fine di influenzare la politica inglese per conto del Partito Comunista Cinese.

Uno di loro avrebbe ricevuto 420.000 sterline e addirittura assunto il figlio della Lee, per la quale l’MI5 ha emesso un avviso individuale considerato rarissimo e quindi indice di una lunga indagine e grande preoccupazione.

Eppure le feste a Downing Street sembrano costituire un problema nazionale e politico ben più grave di quello che il Security Service ha definito il “compito di promuovere l’agenda del Partito comunista cinese” da parte di un avvocato – la Lee – il cui studio legale ha lavorato come consulente legale principale dell’ambasciata cinese a Londra, che ha dichiarato che il suo coinvolgimento con il Parlamento era quello di “rappresentare i cinesi del Regno Unito e aumentare la diversità”, e che ora è accusata di interferenza operando per conto del Fronte Unito, che si occupa di cooptare forze esterne al Partito comunista cinese utilizzandole come strumenti per l’acquisizione di segreti e il consolidamento e il monopolio permanente del potere.

Sapete qual è il problema più grave in tutto ciò? Pare che nel Regno Unito non ci siano leggi in vigore in grado di affrontare le accuse mosse alla Lee. Invece Johnson è già stato interrogato e dovrà difendersi dalle accuse e dagli attacchi ancora a lungo. Fin quando la Lee, probabilmente, sarà già tornata libera in Cina…

La politica geostrategica di Trump tra Cina e Taiwan


Solo un ingenuo può pensare che l’incidente diplomatico tra il presidente eletto Trump e il presidente taiwanese Tsai Ying-wen sia davvero un incidente. Il team di Trump non è costituito da inesperti o incompetenti, come pure autorevoli giornalisti scrivono, ma da esperti strateghi conoscitori delle relazioni internazionali e da visionari che provano ad intraprendere una strada diversa in questa relazione, che soltanto alcuni studiosi di politica internazionale e geopolitica sembrano comprendere.

Risulta evidente che ovviamente non sia stato Trump a telefonare al presidente taiwanese – come erroneamente più volte riportato da autorevoli periodici – ma che al contrario la chiamata l’abbia ricevuta. Ma anziché proseguire sulla “one China policy” che prevede il riconoscimento di un Paese e due sistemi, per il quale solo la Repubblica popolare cinese è riconosciuta e solo con essa si possono avere contatti ufficiali, mentre la Repubblica di Cina (ovvero Taiwan) va bene sono per commerciare – preferibilmente armi – Trump ha alzato la cornetta, facendo saltare sulla sedia politici e diplomatici di tutto il mondo. Ma la sua giustificazione per la prima volta rende possibile porre al centro del dibattito internazionale la condizione di svantaggio di Taiwan, che si trova ad essere isolata dalla società internazionale, senza capire appunto “perché si possono stringere accordi con essa ma non dialogare?”

Questa strategia geopolitica di Trump e dei suoi consiglieri più fidati si lega con i rapporti che il magnate già intratteneva con quello Stato de facto e con la visita di Reince Priebus (presidente del partito Repubblicano e ora capo di Gabinetto di Trump) a Tsai Ying-wen avvenuta qualche mese fa. Ma andando più in profondità, risulta evidente che il fine è quello di tastare il terreno per provare a vedere le prime reazioni della Cina al tentativo degli nuovi USA made in Trump, che mirano a frenare l’avanzata cinese e la delocalizzazione delle imprese USA in Cina. Con questa risposta, Trump ha legittimato Taiwan e ha ammesso l’esistenza di un’altra Cina: quella di Chiang Kai-shek espulsa dall’ONU nel 1971, accusata di occupare un seggio illegale.

Infatti, tutto iniziò con la risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite numero 2758 del novembre 1971, che stabiliva la Repubblica popolare cinese come unico interlocutore e unico rappresentante della Cina. Questa politica venne portata avanti dal Presidente Nixon e progettata da Kissinger, ed ebbe come conseguenza quella di creare le fondamenta per lo sviluppo economico e sociale della Cina. Quello stesso sviluppo che ora Trump vuole rallentare poichè mina le aziende e di conseguenza l’economia dell’America che vuole rendere Great Again, e per farlo deve innanzitutto indebolire il nemico numero 1.

Trump ha basato la sua campagna elettorale sul riportare lavoro e imprese negli USA, e nel trattenere quelle che vorrebbero andarsene, allettate da tasse più basse e minori costi derivanti dallo sfruttamento della manodopera. Ora ha trovato, nel Taipei che vuole riallacciare i rapporti con Washington in risposta alle ultime politiche del pre-Obama, un appoggio per minare lo status quo delle relazioni geostrategiche e provare a trarne vantaggio. 

D’altronde, cosa ci si aspettava? Il gioco dei nervi è appena iniziato, ancora prima dell’insediamento ufficiale. Tenetevi forte.