
L’UE intervenga in Catalunya per dimostrare di essere davvero l’Europa dei Popoli!

Sei mesi fa, sempre di notte, stavo commentando le elezioni generali spagnole. Ero, come sono ora, in sessione esami, ma a differenza di oggi ero a Barcellona e seguivo le elezioni e lo scrutinio con un interesse, un’emozione ed un coinvolgimento ancora maggiori. Ho avuto, allora, la fortuna di trovarmi sul “campo da gioco”, di parlare con la gente, confrontarmi con spagnoli (e catalani) e addirittura partecipare alla campagna elettorale sia agli incontri pubblici sia attivamente. Stasera, invece, ho seguito un po’ sui programmi tv spagnoli che riuscivo a prendere, tipo La1 e TVE24h, ho contattato un mio amico spagnolo, conosciuto durante l’Eramsus a Barcellona e ho letto alcune impressioni soprattutto dalla Catalunya. Queste sono le mie:
Innanzitutto bisogna trovare le cause di questo secondo turno improprio, perchè avvenuto ben 6 mesi dopo il primo: la legge elettorale, strutturata per un bipolarismo e per favorire il bipolarismo stesso; l’incapacità delle forze politiche di scendere a patti perchè da un lato i loro leader non sono abituati e dall’altro sono impauriti dal perdere voti; il rifiuto del Presidente in funzioni Rajoy (PP) di provare l’investitura e il tentativo invece fallito di Sanchez (PSOE) a causa del mancato appoggio di Podemos che ha impedito il raggiungimento dei 176 scranni necessari.
L’analisi dei voti di questa seconda tornata invece ci dice che per prima cosa i vincitori sono Mariano Rajoy e il suo PP, ma che continuano a non raggiungere la maggioranza assoluta di 176 scranni e quindi dovranno allearsi con qualcuno. Le ipotesi sono il PSOE di Sanchez, che ha fatto una cosa incredibile visti i sondaggi, ovvero mantenere il suo partito al primo posto nel centro-sinistra spagnolo, davanti a Podemos dato secondo i sondaggi al 25% e che chiude invece al 21%, mentre il PSOE dato al 21% chiude al 23%; Podemos appunto ma che sembra destinato a rimanere fuori dal governo sia per il fatto di fare paura data la sua percentuale e la sua anti-politica basata molto sull’anti-casta, sia perchè il PSOE, dopo il mancato patto di governo e per non rischiare il sorpasso evitato in questa tornata ma in extremis, non lo vuole e potrebbe avere la forza per tenerlo fuori; infine Ciudadanos, che perde a sorpresa molto non come percentuale (-0,88%) ma come eletti (8 in meno), sempre per colpa della legge elettorale e della ripartizione e allocazione dei seggi. In Catalunya ERC e CDC mantengono gli scranni di dicembre, rispettivamente 8 e 9, ma che sommati a PSOE e Podemos (quest’ultimo favorevole e proponente di un referendum per l’indipendenza della Catalunya) raggiungerebbero solo quota 173, 3 in meno di quelli necessari per formare un governo, ovvero la metà dei 350 totali che formano il Congreso de los diputados (Parlamento). Nei Paesi Baschi il PNV perde uno scranno (da 6 a 5) e questo causa l’impossibilità incredibile di una coalizione PP-C’s-PNV-CC (Canarie) a causa di un solo seggio: 175/176. La politica non è fatta solo di numeri, però sembra che l’unica alleanza possibile sia il classico governo PP-PSOE, magari potenziato con C’s, e con l’astensione di qualche gruppo politico. Però bisogna anche tenere presente che per il PSOE entrare in un governo a guida PP del solito Rajoy dandogli pieno appoggio potrebbe causare il suo suicidio politico. Fatto sta che sono da escludere nuove elezioni sia perchè gli spagnoli potrebbero disertare stanchi ed irritati, sia perchè non è concepibile per la Spagna – abituata ad andare a dormire sapendo chi governerà dalla mattina seguente – stare per un anno senza governo. Se ora l’affluenza ha tenuto (-3,4%, da 73,2% a 69,8%), forse perchè era la prima volta che si votava in una seconda elezione, forse perchè erano ormai passati 6 mesi dal primo turno – molto di più delle amministrative o delle presidenziali di qualche altro Paese, che causano un’inevitabile crollo della partecipazione, ci sono però stati significativi spostamenti di voti: approssimativamente il PP guadagna rispetto le elezioni del 20 dicembre 2015 690.000 voti (passando da 123 a 137 seggi), il PSOE ne perde 106.000 (da 90 a 85 seggi), Ciudadanos 377.000 (da 40 a 32 seggi) e Unidos Podemos, ovvero Podemos alleatosi questa volta con Izquierda Unida, se si sommano anche tutti i vari pariti delle comunità autonome, sua espressione, perde ben oltre un milione di voti (ma la coalizione ottiene 71 seggi, come la somma dei 69 di Podemos e 2 di Unidad Popular nella quale era presente IU del 2015), come prova che una somma di partiti non corrisponde ad una somma numerica di voti… e neanche di seggi, che dipende in larga parte alla legge elettorale, mentre il risultato dipende da molti fattori molto lontani dall’aritmetica.
I flussi di voto hanno, secondo me, visto confluire i voti di C’s al PP a causa del tentativo dei primi di fare un governo con il PSOE di Sanchez, che ha messo allerta gli elettori di centrodestra, e anche a causa della tattica di Rajoy di puntare sul prendere il voto utile, perchè il PP avrebbe avuto più opportunità di formare un governo e di certo avrebbe avuto più peso politico durante le trattative. Dal centro di C’s non è molto probabile che siano scappati voti al PSOE e ancora meno a Podemos, mentre sembrerebbe che la coalizione Podemos-IU non abbia portato i frutti sperati anzi abbia fatto un enorme buco nell’acqua, perchè al di là dei seggi che rimangono gli stessi e quindi fanno venire meno l’utilità della coalizione, si è perso un milione di voti, e sembra che il PSOE alla fine abbia retto, anzi abbia vinto la sua battaglia personale contro e nella sinistra (+1,5% dagli avversari di Unidos Podemos). Però il risultato negativo in Andalucia (storica roccaforte socialista) e la mappa tutta azzurro PP indicano che forse una piccola trasfusione c’è stata, sempre in nome del voto utile, dopo aver visto che Sanchez non era riuscito a formare il governo. Inoltre la Brexit può aver causato uno stop all’avanzata Podemos-IU in favore invece questa volta proprio del PSOE, dove si sarebbe diretto un elettorato più moderato, più spaventato e più anziano ovvero abituato a votare i partiti tradizionali e sentendosi più al sicuro con loro. I due partiti storici rimangono primo e secondo, con il PP che addirittura guadagna voti (+691.000 voti, +4,3%, +14 seggi), e il PSOE che all’inizio dello scrutinio sembrava incrementare seggi ma che alla fine comunque non perde così tanti voti, soprattutto se paragonati a quelli che perdono assieme Podemos e IU.
In queste condizioni e con un PP che vince in tutte le Comunità autonome tranne nei Paesi Baschi e in Catalunya – che vanno tra l’altro non a partiti indipendentisti ma a Unidos Podemos – il Presidente in funzioni uscente Mariano Rajoy si candida di nuovo e più forte rispetto a dicembre 2015 alla conferma. L’aumento di voti e di riflesso di scranni mette PSOE e Podemos in una situazione per la quale se non si riuscisse a formare un governo la colpa ricadrebbe su di loro, vista la differenza di scranni in Parlamento e il distacco in percentuali rispetto al primo partito, che danno a Rajoy sia i numeri sia la legittimità per, questa volta sì, provare l’investitura. Durante il discorso a risultati ormai certi, Rajoy ha subito fatto capire ciò e confermato quello che diceva in campagna elettorale, ovvero che il partito che arriva primo inizia le trattative e il processo di investitura, mentre Albert Rivera di Ciudadanos si è affrettato a tagliarsi un posto nel tavolo delle trattative ma anche alla possibilità di tagliarsi fuori se i fini e le decisioni prese non andranno bene al suo partito; senza però esimersi dall’avanzare un’altra critica al sistema elettorale che a suo dire ha penalizzato il suo partito e che oggettivamente è confermato dai dati e dai voti che servono a C’s per fare un eletto in confronto agli altri partiti (100.000 a C’s, 57.000 al PP). Sanchez e Pablo Iglesias (Podemos) erano chiaramente delusi dal risultato, ma dopo essersi fatti la guerra tra loro per la leadership del centro-sinistra per decidere chi sarebbe stato il Primo Ministro in caso di vittoria, Iglesias dovrebbe esserlo di più perchè ha perso contro sondaggi, speranze e un pizzico di sua supponenza. Se El Pais dice che Sanchez si allontana in tutti i casi da una possibile investitura, che la sinistra retrocede e che Ciudadanos è la principale vittima di questo secondo voto, ora tocca al PP e a Rajoy trovare un patto per governare finalmente la Spagna, dopo 6 mesi e tante notti, troppe per un popolo che era abituato a svegliarsi al mattino ed ascoltare in tv chi era il nuovo Presidente.
“Bienvenidos a Italia” titola un editoriale de El Pais scritto alle 2 (due ore e mezza fa rispetto a quando sto scrivendo anche se dovrei studiare, ma avendo seguito da vicino queste elezioni fino all’ultimo sento la necessità di scrivere ciò che penso). In effetti il quadro politico spagnolo dopo stanotte è molto simile a quello italiano, che si era un po’ perso ma che è tornato nelle elezioni del 2013.
Non so se è segno di maggiore democrazia, sicuramente è segno di più frammentazione e instabilità politica.
A tutti è chiaro che, dopo quasi 40 anni, è finito il bipartitismo in Spagna (nella Repubblica italiana non c’è mai stato, quindi non possiamo paragonare questa sorta di cambio, una specie di “seconda Repubblica spagnola”) ma nessuno sa cosa si farà adesso. Nello stesso articolo citato sopra, si dice che gli spagnoli sono impazienti e che non sopportano di andare a letto senza sapere chi ha vinto (con un paragone che in spagnolo rende meglio che in italiano). Ebbene, stamattina saranno tutti abbastanza sorpresi e, chi segue e sente maggiormente la politica, nervosi.
Il punto è che con questi risultati è impossibile formare le alleanze che, a prescindere da quello che dicevano i leader dei 4 grandi partiti, gli elettori si aspettavano. Il Paese è governabile solo, a mio parere, con due alleanze entrambe molto difficili: PP-PSOE, che formerebbero un governo forte ma sono ideologicamente molto lontani soprattutto dopo questa ultima campagna elettorale senza esclusione di colpi, oppure una sorprendente maxi-alleanza PSOE-Podemos-ERC-DiL, che arriva giusto giusto ai 176 seggi richiesti per avere la maggioranza e potrebbe nascere dopo l’apertura di Iglesias sul concedere un referendum per l’indipendenza alla Catalunya seguito contemporaneamente dalle parole di Mas che lasciavano intendere (ovviamente) una maggiore probabilità di sostegno a Podemos piuttosto che ai partiti centralisti nell’ottica di “non indietreggiare di un millimetro nel processo (indipendentista)”, il tutto in diretta tv. Una sorta di partito della nazione contro una sorta di alleanza per una nuova Nazione, quella catalana. Da sottolineare è che il tema dell’indipendentismo catalano assume un ruolo chiave anche nelle elezioni generali e potrebbe addirittura essere fondamentale per la formazione del governo spagnolo, con PP e Ciudadanos che si vedono fortemente penalizzati a causa delle loro posizioni fortemente anti-indipendentiste. Credo che dia più problemi di quello che si aspettavano.
Queste elezioni non sono la prova che il bipartitismo in Spagna è terminato, ma sono il segnale che con questa legge elettorale e un multipartitismo governare è quasi un’impresa.
“Comportarsi da democratico significa comportarsi da delinquente?”. Questa è la domanda che si pone Artur Mas, 129esimo Presidente della Generalitat de Catalunya, dopo essere stato accusato e indagato dal Tribunale Superiore per “disobbedienza”. La sua colpa? Aver concesso ai cittadini catalani di poter votare un referendum per decidere il loro futuro. I due quesiti vertevano sulla futura possibilità di fare della Catalunya uno stato federale della Spagna oppure uno stato indipendente dalla Spagna (c’era anche una terza ipotesi, in caso di doppio no, che era quella di mantenere lo status quo). Più dell’80% dei circa 2 milioni di partecipanti si sono espressi per una futura indipendenza della Catalunya, il che è un dato molto significativo tenendo anche presente che il tribunale costituzionale spagnolo dichiarò il 25 marzo 2014 l’illegittimità del voto, fattore che potrebbe aver spinto alcuni “indipendentisti tiepidi” a non andare a votare, sapendo che il risultato non sarebbe stato comunque accettato dal governo spagnolo. Però ciò che è emerso il 9 novembre 2014 è un messaggio forte e chiaro alla Spagna del centralista PP di Rajoy, al quale non dev’essere proprio andata giù quella richiesta popolare e democratica. Così come evidentemente non dev’essere andata giù a tutte quelle forze che in Europa si oppongono ogni giorno strenuamente ai sentimenti patriottici e di autodeterminazione dei popoli che stanno diventando sempre più forti. Ma il motivo di questo aumento di “voglia di indipendenza” ha le sue origini proprio nel modo in cui queste (future) Nazioni vengono trattate, usate, sbeffeggiate e silenziate dagli Stati di cui fanno parte, che invece di sedersi a un tavolo e trattare su alcune condizioni, rispondono sempre più ferocemente nella loro miopia improntata all’unione adesso, per sempre e senza dialogo.
Parlando con alcune persone, ieri, alla manifestazione di solidarietà e appoggio a Mas fuori dal Tribunale Superiore di Giustizia della Catalunya, molti dei quali tra l’altro si sono presi un giorno di ferie o hanno saltato l’università per essere li a dimostrare il loro attaccamento all’ideologia e alla speranza, un signore mi ha detto: “se la Spagna non ci avesse trattato così, ora non saremmo qui”, cioè qui a chiedere e protestare per avere maggiore libertà e uguaglianza.
Pensavano di soffocare le richieste dei cittadini appellandosi a un tribunale, invece ieri è arrivata l’ennesima dimostrazione democratica della volontà del popolo catalano. Ho visto, anche in tv, accuse agghiaccianti contro Mas, i politici indipendentisti e perfino i cittadini, che hanno dell’incredibile e sono totalmente false e infondate e gridano perciò allo scandalo e alla ricerca della verità: come fa un referendum ad essere antidemocratico? Come fa una manifestazione popolare ad essere antidemocratica? Come si può affermare che concedere la possibilità di scelta, mediante le urne, al popolo che ti ha eletto e che governi sia un fatto illegale e addirittura di disobbedienza? Disobbedienza a chi? Come ha detto Mas, per questa scelta politica egli deve rendere conto solo al popolo che governa, non a un tribunale.
Eppure, nel chiaro disegno (almeno europeo) di far tacere ed estirpare ogni sussulto di libertà, autonomia e rivendicazione di diritti, si è pronti a tutto. Anche a ricorrere alle sentenze pur di fermare da una parte i promotori e gli artefici delle concretizzazione delle istanze popolari (il proprio popolo), e dall’altra di far cambiare idea ai cittadini quasi arrivando alle minacce e sicuramente alle falsità. Ma la risposta migliore l’ha data la piazza: davanti al tribunale già un’ora prima erano radunate migliaia di persone di tutte le età che cantavano e sventolavano bandiere. Come se non bastasse, la presenza di più di 400 sindaci provenienti da tutta Catalunya hanno dato ancora più forza – assieme a tutte le forze politiche più importanti di questa futura Nazione – al messaggio: un’idea non si ferma a colpi di sentenze, soprattutto se sono non solo ingiuste ma anche scientificamente aberranti. E dico scientificamente poichè chi dichiara che il voto catalano è illegittimo, il giorno dopo si supera (e supera anche la razionalità) affermando che la manifestazione davanti al Tribunale è stata una minaccia e l’appoggio dei cittadini al presidente un atto antidemocratico. Forse Rajoy, nella sua cappa di rabbia e figuracce, non si ricorda bene (se mai l’ha saputo) qual è il significato di democrazia (o almeno uno dei tanti che si attribuiscono a questa parola).
Siamo alla follia. Quando il popolo si esprime contrariamente a ciò che lo stato centralista – dopo innumerevoli tentativi di minacce e lavaggi del cervello – pretende, e non si hanno più strumenti politici per contrastare le loro richieste e le loro decisioni, si passa alle falsità e al ridicolo. Per fortuna però ho visto un popolo forte, determinato, istruito e pronto per proclamare l’indipendenza della Catalunya!
Mentre in Italia si da poco spazio alle storiche elezioni catalane di oggi, a Barcellona capita di girare per strada parlando con un amico e trovare la moglie di un candidato che ti spiega perché vogliono l’indipendenza, esponendoti dati per una ventina di minuti.
Sono stato alla chiusura della campagna elettorale venerdì in Avinguda Maria Cristina, ed è stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita politica. Non lo dimenticherò mai. Oltre al numero incredibile di persone, ciò che più mi ha colpito è stata la massiccia presenza di giovani con le bandiere dell’indipendenza catalana che facevano cori e cantavano. Per me questa è già una vittoria di Junts pel si. La speranza – loro la chiamano “ilusiòn” – che si vede nelle persone è un qualcosa di magnifico per me. Mi emoziono io, figurarsi i catalani che aspettano questo momento da anni!
Quello che si prova qui, l’aria che si sente – aria di cambiamento e ilusiòn – sono difficilmente descrivibili. Ma basta guardare l’affluenza che aumenta del 7% rispetto al 2012 per capire che qui c’è un sentimento popolare, una forte richiesta di libertà e giustizia che ha portato alle 18 a votare il 63,20% dei catalani.
Stanotte sapremo cosa hanno scelto i catalani: se la maggioranza sarà pro indipendenza si aprirà un incredibile nuovo capitolo in Spagna e in Europa, e questo vento di cambiamento soffierà per tutte le altre Nazioni che vogliono essere libere e indipendenti.
I catalani hanno lottato molto, ora è arrivato il giorno della verità e della svolta.
Comunque è un giorno che passerà alla storia.