Lombardia e Veneto battistrada dell’idem sentire change

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Analisi pre-voto sui referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto e gli effetti che possono avere sul cambio dell’idem sentire attuale e la costituzione di una futura percezione e concepimento dello Stato.

 

La mia tesi è che l’idem sentire, ovvero una percezione ed un pensiero comune sulla res publica (lo Stato), è determinato dai vincitori di una battaglia bellica e/o culturale. La forma o il pensiero che si afferma vengono nel tempo dapprima accettati e dopo assimilati dalla popolazione, che finisce per ritrovarsi e riconoscersi in quella condizione che diventa condivisa da tutti perchè per tutti è così. Un esempio è: “mi sento italiano perchè sono nato in Italia, e tutti si sentono italiani”. Ma fino a 160 anni fa ci si sentiva lombardi, veneti, piemontesi… col tempo si è costruito un idem sentire che ha portato ad identificarsi in qualcosa perchè è così anche per tutti gli altri. Costruendo un nuovo Stato, si deve costruire un nuovo idem sentire; che sarebbe come dire che facendo l’Italia, si devono fare gli italiani.

Ma l’idem sentire non è immutabile, cambia nel tempo al cambiare degli avvenimenti, delle sensazioni e dei sentimenti. E più passano le generazioni e meno ce ne si accorge. Si pensi agli irlandesi: all’inizio del XX secolo erano e si definivano inglesi, ora sono e si definiscono irlandesi. In Italia è successo il contrario, e la costruzione dell’identità nazionale ha funzionato meglio, ad esempio, che in Spagna, dove un catalano è spagnolo ma si definisce catalano.

Focalizzandoci sull’Italia e ritenendo che in libertà i popoli tendano ad autodeterminarsi anzichè ad unirsi forzatamente in maniera più o meno violenta, e nella libera disgregazione l’idem sentire si crei mentre nell’indotta unione debba essere creato, un ricordo dello status quo può portare ad un cambio della narrativa e del pensiero comune: ciò che definisco “idem sentire change”.

Sulla scia ancora ardente e del referendum catalano, domenica 22 ottobre si voteranno in Lombardia e Veneto due referendum per chiedere allo Stato centrale maggiore autonomia e maggiori concessioni. L’esperienza catalana incide in due modi sul voto: dimostra che si può andare oltre lo status attuale e tornare allo status quo, anche in maniera più profonda; dimostra che i creatori dell’idem sentire attuale difendono tale illusione con la forza, ovvero con lo stesso mezzo con cui ne hanno creato il contenitore, lo Stato. In Catalunya ha attecchito poco, in Italia molto di più. La spiegazione è dovuta ai due tipi di autoritarismi che hanno inciso in maniera totalmente opposta: il fascismo ha impostato la narrativa e la dialettica in una esaltazione dello Stato centrale e della patria intesa come tale, cancellando con retorica ogni localismo ma infondendo speranza e sicurezza; il franchismo al contrario ha eliminato ogni localismo con la violenza, infondendo odio e timore. Il risultato è che il nazionalismo catalano è anche una reazione al franchismo, mentre la Costituzione italiana nasce sulle ceneri del fascismo. L’idem sentire già iniziato ai tempi di Massimo d’Azeglio trova compimento nell’unità nazionale della patria italiana scaturita dal fascismo e in quella necessaria per evitare una nuova analoga stagione politica.

Il mancato assetto federale e il ritardo dell’istituzione delle Regioni hanno portato a dimenticarsi dello status quo ante, che unito al periodico ricordo del fascismo e dell’unità d’Italia hanno accelerato e dato il colpo di grazia al sentimento nazionale comune per il quale ora si è tutti italiani. E tutti nascono e crescono convinti di esserlo, perchè non c’è altra alternativa.

L’alternativa arriva con la messa in discussione di questo processo, guarda caso poco dopo l’istituzione delle regioni, dalla stesso partito che ora lancia i due referendum nelle Regioni Lombardia e Veneto.

Domenica 22 ottobre si arriva al voto dopo la dichiarazione di Madrid di voler applicare l’art. 155 della Costituziona spagnola, ovvero sospendere l’autonomia catalana e indre nuove elezioni dopo aver rimosso presidente, vice-presidente e consiglieri. Il fatto che l’argomento tiene banco, come si suol dire, tra i giornali e le news, ed è il soggetto di dibattiti e chiacchiere anche da bar, crea un’attenzione alla causa in questo momento particolare e una tensione emotiva e di vicinanza ancora più forti. Infatti, le immagini delle manganellate inferte ai votanti fuori dai seggi, se da un lato hanno contribuito ad aumentare l’attenzione e le analisi al post-voto catalano, facendole protrarre incessantemente fino al giorno dei referendum lombardo e veneto, dall’altro hanno innescato in queste due popolazioni dei sentimenti di vicinanza e solidarietà al popolo catalano. Se i lombardi sono più attenti alle editoriali e i veneti più inclini alla passione, con la testa e il cuore si colgono appieno cause ed effetti del referendum catalano. Le differenze con i 2 referendum qui analizzati, invece, sono state sottolineate più volte e sono palesi. Chi vota con la testa sa che vengono chieste istanze diverse e che non si può ripetere ciò che è avvenuto in Catalunya; chi vota col cuore trova in quello una spinta ed uno stimolo per informarsi di più e soprattutto convincere altri a fare lo stesso (voto ed informazione.

Se per essere valido e dare ufficialmente il mandato ai Presidenti di Lombardia e Veneto di avviare le trattative per richiedere maggiore autonomia, più risorse da tenere sul territorio e la possibilità di assumere la gestione di ben 20 materie – delle quali 17 di competenza concorrente e 3 di competenza esclusiva – per il Veneto è necessario un quorum del 50% + 1 dei votanti mentre per la Lombardia non è richiesto, la percentuale diventa importante per giustificare la scelta di istituire il referendum anzichè provare con la via diretta di un dialogo Stato-Regione, che gode di minor peso politico causato da una mancanza diretta di sostegno da parte della popolazione.

Queste percentuali, se si prendono in considerazione due indicatori – il turnout delle ultime comunali e quello del referendum costituzionale del 4 dicembre – dovrebbero oscillare tra il 52% e il 62% in Veneto e il 42% e il 52% in Lombardia.

Previsione affluenza referendum 22 ottobre

Prevedendo una schiacciante vittoria dei sì – dovuta dalla convergenza di quasi tutti i maggiori partiti politici e Sindaci – se in Veneto non si dovesse raggiungere il quorum, il Presidente Zaia potrebbe comunque intraprendere le trattativa con Roma, ma che in quel caso avrebbero meno forza di quelle che si sarebbero potute fare senza convocare il referendum. Quindi la posta in gioco di Zaia è maggiore, perchè Maroni può stare tranquillo in una prevalenza netta di sì al riparo da quorum.

Comunque, un risultato al di sotto del 42% (il 2% in meno dell’affluenza al ballottaggio delle comunali dell’11 giugno) in Lombardia e al di sotto del 50% in Veneto (al ballottaggio delle comunali dell’11 giugno fu del 47,45%) sarebbero una sconfitta per i promotori del referendum, mentre al di sopra del 50% in Lombardia e del 55% in Veneto sarebbero una grande vittoria politica. In Lombardia perchè verrebbe comunque superato il quorum e assieme si eviterebbero critiche e messe in dubbio del risultato, in Veneto perchè – come fatto notare dal politologo Paolo Feltrin – risulta la media della forbice tra il 38% del referendum sulle trivelle del 17 aprile e il 77% di quello Costituzionale del 4 dicembre 2016. Calcolando che Zaia alle regionali del 2015 prese più del 50% dei voti, con un’affluenza del 57%, ripetere tale affluenza sarebbe un risultato eccellente.

Una previsione di affluenza così bassa è dovuta al fatto che negli ultimi anni si ha avuto un distaccamento fiduciario ed emotivo dalla politica e anche dal momento di massima partecipazione: il voto. Nel 2013 ha votato per le regionali lombarde il 76,74% degli aventi diritto al voto, alle comunali di 4 anni dopo soltanto il 54,10%. Eppure l’elezione di Sindaco e consiglio comunale dovrebbero essere più sentite perchè più vicine e dirette, e la campagna elettorale si svolge molto più nel particolare, con i candidati “alla caccia di voti” in un ambito ristretto e che conoscono bene e nel quale sono ben conosciuti. Infatti, se si va a vedere l’affluenza delle comunali del 2013 in Lombardia, si può notare come sia sempre al di sopra del 60%. Tenuto presente che le regionali dello stesso anno hanno avuto una straordinaria campagna elettorale fino all’ultimo colpo e soprattutto che si sono svolte in concomitanza con le elezioni politiche per Camera e Senato del 24 febbraio 2013. Ciò ha causato un turnout così alto, che risulta ben al di sopra della media delle comunali, che già hanno avuto un calo del 15% di votanti in 4 anni. In Veneto, invece, essendo il turnout già più basso che in Lombardia ed essendo ora il 4% in più, ha tenuto meglio e può contare su una base elettorale forte e decisa, compatta attorno a Zaia e decisa a votare.

Il fatto che si muovano per prime queste 2 Regioni può determinare una nuova spinta verso l’idem sentire change e verso il cambio di assetto statale.

Ciò può essere possibile perchè per questi profondi cambiamenti è decisiva una vittoria iniziale, e nessuno meglio di Lombardia e Veneto può assicurarla. C’è un precedente che ci dice che possono essere queste due Regioni le locomotive dell’idem sentire e del structure (assetto) change: il referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006, dove vinsero i sì soltanto, appunto, in Lombardia e Veneto. L’affluenza fu del 62% in Veneto e del 60% in Lombardia. un 10-12% in meno, consentirebbe il quorum in Veneto e un risultato ottimo in Lombardia. E una rivincita che rafforza le nuove spinte autonomiste, sul vento di quello che ho definito il treno delle libertà, dal Kurdistan iracheno alla Bosnia, passando appunto per Lombardia e Veneto. Il fil rouge è il cambio dell’idem sentire e dell’assetto istituzionale, in una nuova forma e narrativa.

Quindi, se al risultato di domani (22 ottobre) seguono azioni simili in Emilia Romagna (il 18 ottobre la dichiarazione d’intenti tra la Regione e il Governo è stata firmata a Palazzo Chigi dopo la risoluzione del Consiglio Regionale del 3 ottobre), Puglia (il Presidente ha dichiarato che “un ampio dibattito può essere utile per individuare le materie e le modalità di un’autonomia rafforzata”) e Piemonte (il 2 ottobre è nato a Chivasso il comitato “Piemonte autonomo”, promotore per il referendum dell’autonomia del Piemonte), si può davvero iniziare un lungo percorso per cambiare da una parte l’inquadramento politico e legislativo del Paese, dall’altra quello della mentalità (idem sentire) dei suoi abitanti.

Alessio ERCOLI, 21-10-2017