9 marzo 1981 – 9 marzo 2021: L’Unione Europea continua ad abbandonare le Nazioni e chi lotta per la libertà

9 marzo 1981 – 9 marzo 2021: L’Unione Europea continua ad abbandonare le Nazioni e chi lotta per la libertà

Nel giorno dell’anniversario della nascita di Bobby Sands, il Parlamento europeo decide di revocare l’immunità ai 3 eurodeputati catalani Carles Puigdemont, Toni Comín e Clara Ponsatí.

L’allodola spirito di libertà nel Bobby Sands Mural a Belfast

Nel giorno dell’anniversario della nascita di Bobby Sands, il Parlamento europeo decide di revocare l’immunità ai 3 eurodeputati catalani Carles Puigdemont (ex Presidente del Governo catalano), Toni Comín e Clara Ponsatí. Adesso il giudice spagnolo istruttore dell’inchiesta, Pablo Llarena, può inviare la richiesta di estradizione alle autorità belghe e scozzesi. Per Puigdemont, Comín e Ponsatí aumenta il rischio di raggiungere in carcere gli altri leader indipendentisti, a 7 dei quali – lo stesso giorno – il tribunale di sorveglianza ha revocato la semilibertà concessa dalla Generalitat catalana (il Governo catalano).

I primi due sono praticamente in esilio in Belgio dal 2017 – dove sono fuggiti per evitare le carceri spagnole nelle quali sono tutt’ora rinchiusi i membri dell’esecutivo indipendentista di Puigdemont, che ha convocato il referendum del 1 ottobre 2017 – la terza vive in Scozia, dove insegna presso l’Università di St Andrews.

Attenzione alle Nazioni citate: il fil rouge che lega Irlanda, Catalogna, Belgio e Scozia è infatti quello della libertà, dell’autodeterminazione dei popoli, dell’indipendenza. L’Irlanda è il maggiore esempio della lotta indipendentista, con l’Easter Rising del 1916 e fin dai tempi di Theobald Wolfe Tone, ben prima degli anni di Bobby Sands (quando diventa una lotta per la libertà e l’unità della Nazione). In Belgio il nazionalismo fiammingo, che è uno dei maggiori sostenitori della Catalogna e difatti non è raro vedere bandiere catalane appese fuori dalle case. In Scozia è attualissimo il dibattito su un secondo referendum per l’indipendenza dopo quello del 2014.

E poi c’è la Catalogna. E i catalani. Un popolo determinato, che spinge fortemente il mondo politico alle richieste indipendentiste in modo ancora più energico degli stessi politici catalani. Un popolo profondamente identitario, che viene però offuscato da una minoranza comunista e anarchica, estremista e rumorosa, spesso eccessivamente quanto inutilmente violenta (ma pacifista! E per questo inadeguata), e dalla stampa internazionale che dà ampio risalto agli scontri e agli atteggiamenti della piazza multietnica (ma anticapitalista!). Il vero popolo catalano, quello che si è presentato alle 5 di mattina alle urne quel 1 ottobre 2017 per far votare gli anziani prima delle cariche della polizia spagnola, quello che nelle ultime recenti elezioni catalane ha fatto segnare risultati record per i partiti indipendentisti (che per la prima volta hanno superato il 50% dei voti), rischia di non venire percepito all’estero, inducendo all’errore di etichettare gli indipendentisti catalani come estrema sinistra.

Così non è, perché se è vero che la quasi totalità dell’estrema sinistra catalana è pro-indipendenza, è anche vero che il peso elettorale non supera il 7%, quando i partiti sempre indipendentisti ma più moderati sommano oltre il 43% dei voti. Ma neanche la sinistra o il centrosinistra si dimostrano in realtà filo-indipendenza: “una vittoria della democrazia e dello Stato di diritto (…) sono molto soddisfatta per questo risultato” così Iratxe Garcìa Perez (PSOE), presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D) al Parlamento Europeo, ha commentato la revoca dell’immunità ai 3 eurodeputati catalani durante la conferenza stampa a Bruxelles nel corso della plenaria.

Tornano in mente le parole del laburista Don Concannon (Labour Party) quando, a un Bobby Sands in fin di vita nel carcere di Long Kesh, gli dice in faccia che il Partito laburista sostiene la politica del governo di Margaret Thatcher nei confronti dei prigionieri (politici) e che la sua morte sarà inutile. Quindi piano prima di far passare Democratici e Socialisti secolo come sostenitori dell’autodeterminazione e delle lotte per la libertà.

Ma, tornando alla decisione del Parlamento Europeo, sono inevitabili alcune riflessioni:

A che cosa serve l’Unione Europea se ritiene che la questione catalana sia solo un affare interno spagnolo da risolvere in Spagna?

Come può pensare di tendere ad una unificazione o anche solo ad una maggiore integrazione se poi abbandona le Nazioni dei Paesi membri, prostrandosi agli Stati più forti e delegando ad essi le decisioni scaricando ogni responsabilità? Che questa sia la prova che la cessione di sovranità è sbagliata? Che non solo non ci sia una leadership politica, ma che non ci siano neanche le condizioni affinché questo possa avvenire, perché i catalani sono sempre stati i più europeisti della penisola iberica, ma i partiti più europeisti si sono sempre rivelati i più anti-catalanisti?

D’altronde, anche Bobby Sands si sentì tradito dalle istituzioni europee e, a fine aprile 1981, dopo quasi due mesi di sciopero della fame, si rifiutò di incontrare i 4 membri della Commissione europea per i diritti umani, che era già intervenuta l’anno precedente ma senza risultato. Per motivi burocratici, tra l’altro, la Commissione sarebbe potuta intervenire non prima di 18 giorni. Ma 8 giorni dopo, Bobby Sands entrò in coma e in meno di 48 ore morì nella prigione di Long Kesh, dopo 66 giorni di sciopero della fame.

“Può darsi che io muoia, ma la Repubblica del 1916 non morirà mai. Avanti con la Repubblica e la liberazione del nostro popolo.”

Bobby Sands, carcere di Long Kesh, lunedì 9 marzo 1981.

Sono passati appena 40 anni, ma l’Unione Europea non è ancora pronta (o interessata) ad intervenire in difesa degli attivisti per le libertà e delle Nazioni.

Puigdemont in Belgio si gioca il tutto per tutto

Puigdemont in Belgio si gioca il tutto per tutto

 

Il Presidente catalano Carles Puigdemont, lunedì 30 ottobre ovvero il giorno in cui il procuratore di Madrid ha formalizzato le accuse di ribellione, sedizione e malversazione per lui e altri 14 membri del governo per aver “creato una crisi istituzionale culminata nella dichiarazione unilaterale di indipendenza” venerdì 27 ottobre, è partito in auto per Marsiglia da dove ha preso un volo per Bruxelles con i quattro membri del governo Joaquim Forn, Meritxell Borrás, Dolors Bassa e Antoni Comín.

Anche se Madrid non è preoccupata dal di fatto esilio di Puigdemont, perché ciò che interessava era che i politici indagati non entrassero negli uffici se non per prendere gli oggetti personali in poco tempo e che Puigdemont non si avvicinasse al Palau de la Generalitat, farebbe bene ad esserlo per la strategia incompresa che il Presidente ha messo in atto e continua a portare avanti.

Infatti, dopo aver passato la palla a Madrid e avendo fatto passare il governo di Rajoy come violento e anti-democratico, che non rispetta l’esito del referendum e dunque la volontà popolare ed è il solo a non voler il dialogo, Puigdemont non ha risposto alla domanda di Rajoy sulla dichiarazione di indipendenza e con l’approvazione da parte del Parlament della risoluzione che istituisce la Repubblica catalana – con uno stratagemma retorico per dichiarare l’indipendenza senza dichiararla (pena l’arresto) – a voto segreto di modo da rendere impossibile identificare i votanti a favore e quindi per quel motivo da arrestare, è arrivato fino a lunedì senza una accusa formale, e appena è stata ufficializzata ha scelto l’unica alternativa possibile al rischio di passare decenni in carcere. Da notare che, dopo l’approvazione della Ley de Transitoriedad che proclamava la Repubblica catalana, la palla passava al Govern per l’applicazione e l’inizio ufficiale del processo costituente. Non si è fatto in tempo, e questo ha permesso a Puigdemont di passare guai peggiori.

La vera domanda è: ma il nuovo Govern che scaturirà dalle elezioni del 21 dicembre – se avesse di nuovo una maggioranza indipendentista – potrà portare avanti (e forse a termine) il processo iniziato dopo il referendum del 1-O, anche se il Tribunal Constitucional annullerà la risoluzione sull’indipendenza, ai sensi della Ley de Transitoriedad (sempre che non venga dichiarata incostituzionale anch’essa), quindi iniziare il processo costituente con la società civile come previsto dalla stessa legge, oppure si vedrà impossibilitato a causa dell’annullamento e quindi dell’invalidità dei provvedimenti? Sempre fermo restando che il 155 resterà in vigore anche dopo le elezioni, se Madrid vorrà.

Ma ora che si trova a Bruxelles – quasi sicuramente dopo contatti con Theo Francken, Segretario di Stato belga per l’asilo e l’immigrazione e membro dell’Alleanza Neo-Fiamminga – Puigdemont si gioca il tutto per tutto, ad iniziare dal riproporre la causa catalana come europea, internazionalizzandola e portandola vicino alle istituzioni europee, con un possibile processo fuori dai confini spagnoli e la conferenza stampa nella “capitale” dell’UE che sottolineano l’intenzione di legittimare l’indipendentismo catalano in ambito europeo e la richiesta all’UE di prendere una posizione ed esprimersi. Insomma, con la conferenza stampa nella “capitale” dell’UE, Puigdemont rende la causa catalana una questione europea.

Puigdemont potrebbe addirittura candidarsi alle elezioni del 21 dicembre, ma solo se non sarà in galera; e in questo gioca un ruolo fondamentale Paul Bekaert, avvocato con ufficio in Belgio, a Tielt, che ha seguito casi di ETA e IRA, il quale contatto secondo la mia opinione potrebbe essere stato passato a Puigdemont da Urkullu: dato che contatti tra Urkullu e “presos” dell’ETA ci sono stati, è possibile che Bekaert lo conosca e abbia passato il contatto a Puigdemont. D’altronde, il governo basco si è speso molto per cercare una mediazione tra il governo spagnolo e quello catalano, con il quale ha e ha avuto ancora più contatti. Si può pensare che il nome di Bekaert sia passato per le relazioni ETA-Urkullu-Puigdemont.

Tornando all’ipotesi della ri-candidatura di Puigdemont, resa possibile dal fatto che dal momento in cui gli verrà notificato l’ordine di arresto europeo avrà 60 giorni di tempo prima dell’estradizione – il che gli permette di arrivare alle elezioni del 21 dicembre come uomo libero e dunque candidabile (come dichiarato anche dal Ministro dell’Interno spagnolo) – non ci sarebbe alternativa migliore, politicamente e simbolicamente, del Presidente che ha permesso lo svolgimento del referendum, portato avanti l’indipendenza sino di fatto a sancirla, per questo perseguitato e costretto all’esilio oltre che ad essere destituito da Madrid e non sollevato dal Parlamento catalano. Per operato ed emotività sarebbe il candidato giusto per rivincere le elezioni e dimostrare che l’indipendentismo è davvero la posizione predominante in Catalunya, ora più di prima. Il suo ritorno sarebbe desiderato non solo dagli indipendentisti ma anche da chi male sopporterà il commissariamento di Soraya Saenz de Santamaria, e potrebbe creare attorno a lui una spinta al voto fondamentale per spingere l’elettorato all’ennesima votazione (questa volta si spera senza violenza). Anche con il 155 ancora attivo, l’autonomia della Comunità Autonoma sarà sempre in vigore, come lo è adesso, e si potranno cercare nuove vie all’indipendenza. Più o meno compartite.

Il terrorismo islamico è stato sottovalutato o mal-valutato

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Non è un caso che l’attentato di stamattina a Bruxelles, la cosiddetta capitale europea, sia avvenuto appena dopo la cattura, sempre a Bruxelles, di Salah Abdeslam, e non è semplicemente che “il Belgio è stato colpito perché parte della coalizione internazionale” come si legge nella rivendicazione dell’ISIS: il Belgio e in particolare i quartieri di Bruxelles sono stati lo scenario dell’ennesimo attentato terroristico perchè lì si concentrano migliaia di islamici e in particolare i cosiddetti second-generation immigrants, i figli degli immigrati che sono andati in Belgio per cercare lavoro attratti dal “sogno europeo” e che si sono ritrovati ad auto-ghettizzarsi in quartieri come quello di Molenbeek (per intenderci quello da cui provenivano gli attentatori di Parigi) e adesso che i loro sogni sono stati distrutti e si trovano, come milioni di europei, senza lavoro ma anche sempre più (auto)marginalizzati, trovano conforto o ritrovano se stessi, la loro cultura o le tradizioni che i genitori avevano abbandonato negli anni, in organizzazioni terroristiche.

Per l’ISIS è più facile colpire dove sono già presenti cellule, dove si concentrano gli islamici delusi e arrabbiati, in un certo senso illusi da questa accoglienza e dalla speranza che ne deriva. Per questo noi non possiamo, come nessuno in questa Unione Europea, ritenerci al sicuro e lontani dal pericolo, perchè oltre ad essere vicini alla Libia e alla Grecia (da dove partono gli immigrati che scappano dalla Siria), siamo anche il Paese da cui passano tutti i clandestini che arrivano in Europa via mare dalle coste dell’Africa settentrionale e proseguiamo con l’accoglienza incontrollata avvolta nella nebbia del business.

Per anni si è continuato ad accoglierli e a permettere che si riunissero in quartieri, ghettizzandoli e ghettizzandosi, facendoli propri, senza porsi domande sui problemi che potevano derivare. Si è visto come anche in Italia, che è lo specchio dell’Europa, fino a qualche mese fa passavano solo messaggi rassicuranti, i politici si affrettavano a dire che non c’erano rischi nè pericoli, che tutto era sotto controllo, che il problema erano quelli che mettevano in guardia dai pericoli di attentati anche da noi, in Europa ma anche da questa parte delle Alpi. Si diceva che eravamo dotati dei mezzi per prevenire ed evitare un attacco terroristico, di non preoccuparsi, di non fare falsi allarmismi. Oggi invece il Ministro dell’Interno Alfano ammette che “non esiste un Paese a rischi zero”, e infatti proprio poche ore prima era stato arrestato un iracheno che viveva nel napoletano ed era già sorvegliato da Francia e Belgio perchè accusato di essere in contatto con terroristi.

Il terrorismo islamico si è sottovalutato troppo, sono stati fatti  calcoli ed evidentemente studi ed opinioni sbagliate, spesso non se ne parla o se ne parla solo in parte (quella che conviene) per paura o per convenienza politica. La realtà però ce l’abbiamo sotto gli occhi, e quella di oggi è solo l’ennesima conferma: bisogna avere il coraggio di dire la verità e prendere decisioni e risposte dure, immediate, concrete e utili. Non ci si può nascondere, non si possono fare calcoli politici, non si può più aspettare, non bisogna avere paura di agire anche se duramente. La risposta ai terroristi deve essere totale, senza troppi spazi a discorsi molto filosofici ma poco pratici. Invece di preoccuparsi della crescita delle destre e della xenofobia, sarebbe meglio se i governanti si preoccupassero di combattere con tutte le misure e i mezzi possibili il terrorismo. Il problema è quello. La causa dei morti è quella. Un problema che si è sottovalutato troppo e per troppo tempo. Non basta piangere dopo la tragedia se la tragedia si poteva evitare.