
L’UE intervenga in Catalunya per dimostrare di essere davvero l’Europa dei Popoli!

La strepitosa vittoria dei nazionalisti corsi di Pè a Corsica ci insegna 3 cose:
1) Il cleavage (la frattura) maggiore attuale si conferma tra local e global, tra l’autonomismo tendente all’indipendentismo e il globalismo tendente al mondialismo.
2) Quello che definii qualche settimana fa “treno dell’indipendenza” aggiunge un “vagone”: dopo Scozia, Kurdistan iracheno, Republika Srpska, Vojvodina e la locomotiva Catalunya, ora la Corsica.
3) Per arrivare all’indipendenza serve avere un tessuto socio-politico saldo, sicuro e fedele. Per questo i vincitori, Gilles Simeoni e Jean-Guy Talamoni, due veri lupi politici, propongono per ora l’amnistia per i «prigionieri politici», l’ufficialità della lingua corsa e il riconoscimento dello status di residente corso per opporsi alla compravendita di terreni sull’isola ed evitare speculazioni immobiliari. Con queste misure, andrebbero a sanare i maggiori problemi dell’isola e ad aumentare i consensi, costituendo la base per passare allo step successivo. D’altronde, le modifiche rivoluzionarie avvengono per transizioni. Bisogna sapere crearne le condizioni…
La revoca del mandato di arresto europeo contro Puigdemont è se possibile peggiorativo per la condizione dell’ex Presidente catalano. Viene infatti confermata l’impossibilità di tornare in Catalunya senza essere arrestato e indagato per reati che prevedono decenni di anni di carcere. Puigdemont non potrà quindi fare campagna elettorale in patria nè tornare dopo le elezioni in libertà. Neanche se fosse confermato come Presidente.
Sarà una campagna elettorale dell’esilio, e conoscendo Puigdemont se la giocherà al massimo con un’altra strategia da seguire con ancora maggiore interesse.
Il Presidente catalano Carles Puigdemont, lunedì 30 ottobre ovvero il giorno in cui il procuratore di Madrid ha formalizzato le accuse di ribellione, sedizione e malversazione per lui e altri 14 membri del governo per aver “creato una crisi istituzionale culminata nella dichiarazione unilaterale di indipendenza” venerdì 27 ottobre, è partito in auto per Marsiglia da dove ha preso un volo per Bruxelles con i quattro membri del governo Joaquim Forn, Meritxell Borrás, Dolors Bassa e Antoni Comín.
Anche se Madrid non è preoccupata dal di fatto esilio di Puigdemont, perché ciò che interessava era che i politici indagati non entrassero negli uffici se non per prendere gli oggetti personali in poco tempo e che Puigdemont non si avvicinasse al Palau de la Generalitat, farebbe bene ad esserlo per la strategia incompresa che il Presidente ha messo in atto e continua a portare avanti.
Infatti, dopo aver passato la palla a Madrid e avendo fatto passare il governo di Rajoy come violento e anti-democratico, che non rispetta l’esito del referendum e dunque la volontà popolare ed è il solo a non voler il dialogo, Puigdemont non ha risposto alla domanda di Rajoy sulla dichiarazione di indipendenza e con l’approvazione da parte del Parlament della risoluzione che istituisce la Repubblica catalana – con uno stratagemma retorico per dichiarare l’indipendenza senza dichiararla (pena l’arresto) – a voto segreto di modo da rendere impossibile identificare i votanti a favore e quindi per quel motivo da arrestare, è arrivato fino a lunedì senza una accusa formale, e appena è stata ufficializzata ha scelto l’unica alternativa possibile al rischio di passare decenni in carcere. Da notare che, dopo l’approvazione della Ley de Transitoriedad che proclamava la Repubblica catalana, la palla passava al Govern per l’applicazione e l’inizio ufficiale del processo costituente. Non si è fatto in tempo, e questo ha permesso a Puigdemont di passare guai peggiori.
La vera domanda è: ma il nuovo Govern che scaturirà dalle elezioni del 21 dicembre – se avesse di nuovo una maggioranza indipendentista – potrà portare avanti (e forse a termine) il processo iniziato dopo il referendum del 1-O, anche se il Tribunal Constitucional annullerà la risoluzione sull’indipendenza, ai sensi della Ley de Transitoriedad (sempre che non venga dichiarata incostituzionale anch’essa), quindi iniziare il processo costituente con la società civile come previsto dalla stessa legge, oppure si vedrà impossibilitato a causa dell’annullamento e quindi dell’invalidità dei provvedimenti? Sempre fermo restando che il 155 resterà in vigore anche dopo le elezioni, se Madrid vorrà.
Ma ora che si trova a Bruxelles – quasi sicuramente dopo contatti con Theo Francken, Segretario di Stato belga per l’asilo e l’immigrazione e membro dell’Alleanza Neo-Fiamminga – Puigdemont si gioca il tutto per tutto, ad iniziare dal riproporre la causa catalana come europea, internazionalizzandola e portandola vicino alle istituzioni europee, con un possibile processo fuori dai confini spagnoli e la conferenza stampa nella “capitale” dell’UE che sottolineano l’intenzione di legittimare l’indipendentismo catalano in ambito europeo e la richiesta all’UE di prendere una posizione ed esprimersi. Insomma, con la conferenza stampa nella “capitale” dell’UE, Puigdemont rende la causa catalana una questione europea.
Puigdemont potrebbe addirittura candidarsi alle elezioni del 21 dicembre, ma solo se non sarà in galera; e in questo gioca un ruolo fondamentale Paul Bekaert, avvocato con ufficio in Belgio, a Tielt, che ha seguito casi di ETA e IRA, il quale contatto secondo la mia opinione potrebbe essere stato passato a Puigdemont da Urkullu: dato che contatti tra Urkullu e “presos” dell’ETA ci sono stati, è possibile che Bekaert lo conosca e abbia passato il contatto a Puigdemont. D’altronde, il governo basco si è speso molto per cercare una mediazione tra il governo spagnolo e quello catalano, con il quale ha e ha avuto ancora più contatti. Si può pensare che il nome di Bekaert sia passato per le relazioni ETA-Urkullu-Puigdemont.
Tornando all’ipotesi della ri-candidatura di Puigdemont, resa possibile dal fatto che dal momento in cui gli verrà notificato l’ordine di arresto europeo avrà 60 giorni di tempo prima dell’estradizione – il che gli permette di arrivare alle elezioni del 21 dicembre come uomo libero e dunque candidabile (come dichiarato anche dal Ministro dell’Interno spagnolo) – non ci sarebbe alternativa migliore, politicamente e simbolicamente, del Presidente che ha permesso lo svolgimento del referendum, portato avanti l’indipendenza sino di fatto a sancirla, per questo perseguitato e costretto all’esilio oltre che ad essere destituito da Madrid e non sollevato dal Parlamento catalano. Per operato ed emotività sarebbe il candidato giusto per rivincere le elezioni e dimostrare che l’indipendentismo è davvero la posizione predominante in Catalunya, ora più di prima. Il suo ritorno sarebbe desiderato non solo dagli indipendentisti ma anche da chi male sopporterà il commissariamento di Soraya Saenz de Santamaria, e potrebbe creare attorno a lui una spinta al voto fondamentale per spingere l’elettorato all’ennesima votazione (questa volta si spera senza violenza). Anche con il 155 ancora attivo, l’autonomia della Comunità Autonoma sarà sempre in vigore, come lo è adesso, e si potranno cercare nuove vie all’indipendenza. Più o meno compartite.
“Comportarsi da democratico significa comportarsi da delinquente?”. Questa è la domanda che si pone Artur Mas, 129esimo Presidente della Generalitat de Catalunya, dopo essere stato accusato e indagato dal Tribunale Superiore per “disobbedienza”. La sua colpa? Aver concesso ai cittadini catalani di poter votare un referendum per decidere il loro futuro. I due quesiti vertevano sulla futura possibilità di fare della Catalunya uno stato federale della Spagna oppure uno stato indipendente dalla Spagna (c’era anche una terza ipotesi, in caso di doppio no, che era quella di mantenere lo status quo). Più dell’80% dei circa 2 milioni di partecipanti si sono espressi per una futura indipendenza della Catalunya, il che è un dato molto significativo tenendo anche presente che il tribunale costituzionale spagnolo dichiarò il 25 marzo 2014 l’illegittimità del voto, fattore che potrebbe aver spinto alcuni “indipendentisti tiepidi” a non andare a votare, sapendo che il risultato non sarebbe stato comunque accettato dal governo spagnolo. Però ciò che è emerso il 9 novembre 2014 è un messaggio forte e chiaro alla Spagna del centralista PP di Rajoy, al quale non dev’essere proprio andata giù quella richiesta popolare e democratica. Così come evidentemente non dev’essere andata giù a tutte quelle forze che in Europa si oppongono ogni giorno strenuamente ai sentimenti patriottici e di autodeterminazione dei popoli che stanno diventando sempre più forti. Ma il motivo di questo aumento di “voglia di indipendenza” ha le sue origini proprio nel modo in cui queste (future) Nazioni vengono trattate, usate, sbeffeggiate e silenziate dagli Stati di cui fanno parte, che invece di sedersi a un tavolo e trattare su alcune condizioni, rispondono sempre più ferocemente nella loro miopia improntata all’unione adesso, per sempre e senza dialogo.
Parlando con alcune persone, ieri, alla manifestazione di solidarietà e appoggio a Mas fuori dal Tribunale Superiore di Giustizia della Catalunya, molti dei quali tra l’altro si sono presi un giorno di ferie o hanno saltato l’università per essere li a dimostrare il loro attaccamento all’ideologia e alla speranza, un signore mi ha detto: “se la Spagna non ci avesse trattato così, ora non saremmo qui”, cioè qui a chiedere e protestare per avere maggiore libertà e uguaglianza.
Pensavano di soffocare le richieste dei cittadini appellandosi a un tribunale, invece ieri è arrivata l’ennesima dimostrazione democratica della volontà del popolo catalano. Ho visto, anche in tv, accuse agghiaccianti contro Mas, i politici indipendentisti e perfino i cittadini, che hanno dell’incredibile e sono totalmente false e infondate e gridano perciò allo scandalo e alla ricerca della verità: come fa un referendum ad essere antidemocratico? Come fa una manifestazione popolare ad essere antidemocratica? Come si può affermare che concedere la possibilità di scelta, mediante le urne, al popolo che ti ha eletto e che governi sia un fatto illegale e addirittura di disobbedienza? Disobbedienza a chi? Come ha detto Mas, per questa scelta politica egli deve rendere conto solo al popolo che governa, non a un tribunale.
Eppure, nel chiaro disegno (almeno europeo) di far tacere ed estirpare ogni sussulto di libertà, autonomia e rivendicazione di diritti, si è pronti a tutto. Anche a ricorrere alle sentenze pur di fermare da una parte i promotori e gli artefici delle concretizzazione delle istanze popolari (il proprio popolo), e dall’altra di far cambiare idea ai cittadini quasi arrivando alle minacce e sicuramente alle falsità. Ma la risposta migliore l’ha data la piazza: davanti al tribunale già un’ora prima erano radunate migliaia di persone di tutte le età che cantavano e sventolavano bandiere. Come se non bastasse, la presenza di più di 400 sindaci provenienti da tutta Catalunya hanno dato ancora più forza – assieme a tutte le forze politiche più importanti di questa futura Nazione – al messaggio: un’idea non si ferma a colpi di sentenze, soprattutto se sono non solo ingiuste ma anche scientificamente aberranti. E dico scientificamente poichè chi dichiara che il voto catalano è illegittimo, il giorno dopo si supera (e supera anche la razionalità) affermando che la manifestazione davanti al Tribunale è stata una minaccia e l’appoggio dei cittadini al presidente un atto antidemocratico. Forse Rajoy, nella sua cappa di rabbia e figuracce, non si ricorda bene (se mai l’ha saputo) qual è il significato di democrazia (o almeno uno dei tanti che si attribuiscono a questa parola).
Siamo alla follia. Quando il popolo si esprime contrariamente a ciò che lo stato centralista – dopo innumerevoli tentativi di minacce e lavaggi del cervello – pretende, e non si hanno più strumenti politici per contrastare le loro richieste e le loro decisioni, si passa alle falsità e al ridicolo. Per fortuna però ho visto un popolo forte, determinato, istruito e pronto per proclamare l’indipendenza della Catalunya!